martes, 20 de septiembre de 2011

III. LUI, LEI E L'ALTRO (La terra, il denaro e il capitale)-Il programma comunista -Sul filo del tempo-bordiga-1953-1218

MAI LA MERCE SFAMERA' L'UOMO
III. LUI, LEI E L'ALTRO (La terra, il denaro e il capitale)

Il programma comunista nº23 dell 18/12/1953

Sul filo del tempo

Amadeo bordiga

Frutti e sfruttamento
Tutta la ricerca del comunismo critico è volta a stabilire la causa e le leggi dell'appropriazione di lavoro altrui, del rapporto sociale per cui determinati uomini e aggruppamenti di uomini nelle successive società storiche prestano la loro opera e lavorano, mentre vi sono altri uomini e altri gruppi che vivono non prestando lavoro e consumando in vari modi ciò che non hanno prodotto. A tanto si riducono le ricerche sulla rendita, sull'interesse e sul profitto che non sono che momenti e aspetti storici di quel lavoro prelevato da uomini a carico di altri uomini, ossia del sopralavoro, ed infine modernamente sono dimostrate parti in cui si suddivide il plusvalore. Tutto il marxismo è dunque teoria del plusvalore e in senso più generale del sopralavoro, estesa a tutte le epoche e non solo a quella capitalista e delle forme anche future di prestazione di sopralavoro per "tutta" la società umana (programma comunista, programma della rivoluzione proletaria). Si vede da ciò quale enormità sia dirsi marxisti e negare la dottrina del plusvalore, anche soltanto nella sua applicazione al modo capitalista di produzione.
Nella definizione sommaria di ricerca delle cause del sopralavoro si può, qualora si trascuri il metodo storico, incorrere in equivoco considerando che tutto il sistema derivi da una condanna dello "sfruttamento dell'uomo sull'uomo", quasi si trattasse di una posizione di ordine morale, che colpisse quel rapporto come un delitto, in ogni luogo e in ogni tempo, per la sua essenza qualificata e senza riguardo alla sua estensione in quantità, come senza riguardo al reale processo storico.
Come detto in altre sedi, l'errore è, con la formula di propaganda "contro lo sfruttamento", di far credere che il comunismo voglia o possa sopprimere il sopralavoro, mentre invece lo vuole ordinare in un modo (che fu conosciuto solo dalle primitive gentes comuniste, in cui si mangiava indipendentemente dalla quantità, dal tempo, dalla misura del prestato lavoro individuale e tutto il lavoro era sopralavoro dato alla tribù, in quanto sopralavoro significa lavoro non pagato al suo prestatore) in un modo tale che il prelievo del sopralavoro non sia fatto per un solo individuo o per una sola parte della società. Il comunismo impedirà che un singolo o anche una parte della società o anche lo Stato possa dire al prestatore di opera: non potrai nutrirti se la parte di lavoro pagata al giusto prezzo (lavoro necessario) non la presti quando e dove ti sarà detto, per ivi cristallizzare il tuo sopralavoro.
La spiegazione quindi dei fenomeni della rendita, dell'interesse e del profitto, prima di essere tutta inquadrata nella dottrina comunista del pluslavoro, è da Marx illustrata nei tentativi che fecero per spiegare quelle forme le grandi scuole della scienza economica. Ma tale storia delle teorie, che Marx ha fatto prima di costruire la propria, la nostra, è esposta dopo di essa e passo per passo è costellata da luminose spiegazioni della nostra propria interpretazione di tutte le forme di sopralavoro e di più, come nelle altri parti del Capitale, da squarci potenti che illustrano il programma rivoluzionario e la forma sociale comunista.
Raccolto o saccheggio?
Il concetto più antico è quello della resa del suolo coltivato, in quanto i primi suoi teorici erano lontani dal poter vedere che anche in questa si utilizza, come abbiam visto, non "gratuita" forza naturale, ma sempre lavoro di uomini, che in tanto lo prestano in quanto vivono e in tanto vivono in quanto si alimentano. Il secondo problema è quello dell’interesse del denaro; il terzo storicamente sarà quello dell'utile di impresa.
Tutti sappiamo che si parla di denaro "messo a frutto" e di frutti di un capitale-denaro semplicemente prestato ad altro detentore, per indicare l'interesse pagato. E come annuo è il frutto della terra per motivi fisici, si è preso a considerare annuo l'interesse, sebbene nulla vieti di riferirlo ad un qualunque tempo di messa a disposizione del miracoloso cespite-moneta. Infatti la teoria degli interessi composti si impianta immaginando di cumulare a fine di ogni anno col capitale raggiunto l'interesse dell'ultimo anno decorso. I ragionieri delle banche si spingono col sistema dei "punti" a calcolare l'interesse delle frazioni di anno e fino ai giorni, ma solo a termine di anno e talvolta di trimestre lo segnano in attivo al cliente prestatore, o in passivo al debitore.
Quando si porti un tale concetto all’estremo, immaginando che il "dormiente" (per chi lo ha prestato ma non per chi lo ha preso in prestito) denaro ad ogni attimo figli un qualcosa di valore, sia pure impercettibile, si arriva all'interesse continuo. Occorre quella tale formuletta di calcolo integrale. Cosa curiosa è che mentre appare chiaro a tutti che l'accumulo finale trovato in tal modo è un poco più alto che con la teoria dell'interesse composto annuo, (o semestrale come nei mutui immobiliari) se cerchiamo quale sia il valore del capitale che ci dà un reddito annuo, poniamo del 5 per cento, perpetuo (come la servetta voleva) troveremmo nel caso dell'interesse continuo lo stesso capitale, immaginando la sua rendita "posticipata" ossia iniziata un anno dopo l'investimento. Ma se invece supponiamo che il gettito cominci nell’istante stesso del prestito, allora il valore diviene il capitale iniziale, più del suo interesse semplice. Praticamente, al 5 per cento 1 lira l'anno rappresenta 20 lire. ma con la formula continua, o "integrale", rappresenta 1 lira di più. Forse per questo Petty introdusse 21 anni proprio, nella sua originale spiegazione della "rendita fondiaria capitalizzata", prima celebrazione di nozze tra madamigella Terra e messer Denaro?
Mentre dunque la rendita che la terra dà al suo padrone prende la forma materiale di frutti e derrate cresciuti per fatto vegetativo e che sono gli stessi che gode quel tale lavoratore singolo che ha tanta terra quanta basta alla forza delle sue braccia, la parola frutto applicata all'interesse pecuniario e specie a quello primo conosciuto che fu l'usurario, prende sapore di metafora e sembra aver dato luogo al termine, piuttosto abusato, di sfruttamento. Si dice che si sfrutta la terra, si dice meglio che si sfrutta un giacimento minerario. Questo secondo costituisce una specie di ricchezza tesaurizzata da madre natura e non occorre calcolo integrale per stabilire il numero di anni in cui sarà esaurito: questo calcolo (una semplice divisione) suole farsi per il carbone fossile o il petrolio di tutto il sottosuolo terrestre... Ma la buona coltivazione della terra agraria è quella che la fa fruttare, non la sfrutta, ossia non ne intacca a fondo o distrugge la fertilità avvenire: cosa che riducendo mano mano la rendita toglierebbe a quella terra il suo valore "in comune commercio "o lo ridurrebbe di molto.
La nostra parola italiana sfruttamento, che in tempo moderno applichiamo al profitto dell'imprenditore a danno dei salariati, mostra che ogni teoria del sopralavoro parte dalla soluzione del problema della rendita fondiaria. Tuttavia la parola francese exploitation e quella tedesca Ausbeutung (di uso assai parco in Marx), vengono dai radicali plot e Beute che hanno il senso di preda, bottino, e sembrano contenere la nozione che i primi che accumularono ricchezze non lo fecero coi frutti sovrabbondanti di una terra generosa ma appropriandosi e predando prodotti sorti da altrui lavoro, comunque entrati in altrui possesso.
La terra nutrice?
Furono gli economisti fisiocratici, di quella scuola che sorse intorno al tempo della grande rivoluzione borghese, a stabilire la fonte della ricchezza nella natura, attribuendo solo alla terra la facoltà di dar vita alla umana specie: gli uomini sarebbero tanti poppanti alle mammelle infinite di questa ben rotonda balia dal latte inesauribile. Ma allora come spiegare che questi poppanti, lungi dal socchiudere gli occhi e mangiare dolcemente sonnecchiando, si debbano tanto maledettamente dibattere per sbarcare il lunario?
Marx distingue tra la formulazione banale di questo principio e l'avanzata analisi condotta dai grandi fisiocratici francesi, come Turgot e Quesnay, che non presentarono la terra come sola fonte di valore ma piuttosto il lavoro umano, bensì solo come lavoro di coltivatori agricoli. In questa analisi vi sono tutti gli elementi della funzione del capitale. I successivi economisti classici della borghesia industriale trionfante attribuiranno giustamente la potenza di generare valore anche al lavoro manifatturiero e industriale, ma faranno ciò per sviluppare l'elogio del capitale e giustificarne il profitto: non è strano che Marx faccia propria la loro tesi di partenza, ma veda con simpatia la tesi fisiocratica in quanto mostra il "parassitismo" del capitale industriale. Egli deride invece la formulazione più bruta di questa scuola, che indica in un funzionario tedesco, lo Schmalz. Così egli generalizza la tesi fisiocratica, secondo cui il lavoro dell'operaio aggiunge al prodotto tutto quanto gli viene pagato in salario, non un soldo di più:
"Ogni salario (in media) è uguale a ciò che (sempre in media) è solito consumare un uomo appartenente alla classe operaia nel tempo (di nuovo in media) in cui viene eseguito il suo lavoro".
Essendo dunque il lavoro sui manufatti in assoluto pareggio tra il ricevuto e il dato, ne segue che è la terra che fa vivere le nazioni:
"La rendita fondiaria continua ad essere l'unico reddito della nazione; la natura soltanto la nutrisce e Dio soltanto la crea. Salario e interessi non fanno che trasferire da una mano all'altra, sempre in altre mani, ciò che la natura ha dato sotto forma di rendita fondiaria (...) Il patrimonio della nazione è la capacità del suolo di fornire annualmente questa rendita fondiaria (...) Tutte le cose che hanno un valore, se si risale alle componenti e ai fondamenti del loro valore - intendiamo però parlare del valore di scambio - sono semplicemente prodotti della natura. Sebbene il lavoro abbia dato una nuova forma a queste cose, e abbia quindi accresciuto il loro valore, tuttavia questo valore consiste unicamente nella somma dei valori di tutti i prodotti della natura che sono stati distrutti per creare questo valore dalla nuova forma, cioè sono stati consumati dall'operaio o impiegati in un modo qualsiasi".
Ed ancora:
"Questo lavoro [l'agricoltura vera e propria] è dunque reale ed esso solo è produttivo, perché crea corpi organici indipendenti. I lavori di trasformazione non fanno che modificare meccanicamente o chimicamente corpi esistenti".
Marx si contenta di sorridere dell'ingenuità di questo consigliere aulico, che scrive indirizzandosi a "Vostra Altezza". I1 grande filosofo inglese Locke, come Petty, riconosce due forme del plusvalore: rendita fondiaria e interesse, ma ammette già nettamente che fonte di entrambi è il lavoro che, fatto da altri, dati individui si appropriano in quanto - Marx dice con la sua propria formula - posseggono il suolo e il capitale, ossia le condizioni del lavoro. Questa corrente espressione marxista delle condizioni del lavoro che si oppongono al lavoro e al lavoratore non deve essere presa come una civetteria hegeliana con la antitesi opposta alla tesi da cui si arriva alla sintesi quando i lavoratori riconquistano le condizioni del loro lavoro, che stavano fuori e contro di essi. Si devono intendere per condizioni del lavoro non il generico ambiente in cui si lavora, l'esistenza o meno, poniamo, della luce nella fabbrica, o dell'ambulatorio o del refettorio, ma i dati indispensabili, ossia le condizioni necessarie senza di cui non si può lavorare: dunque il locale, le materie prime, gli impianti e macchine.
Non può lavorare chi non sia ammesso ad entrare nella fabbrica, o nel campo, a maneggiare attrezzi e materie, sementi, concimi, sostanze greggie da trasformare. A differenza dell'artigiano libero, il moderno salariato è separato da tutto questo da una barriera insormontabile: le condizioni del lavoro sono elementi materiali e fisici, e la opposizione di esse al lavoro non è simbolica, ma è espressa dalla coercizione statale e legale, dai rapporti del pubblico potere che quei divieti sancisce e tutela.
Locke giudica che sia inumana e da vietare ogni separazione tra il lavoro e le sue indispensabili "condizioni". Secondo lui "la terra e tutti gli esseri inferiori appartengono in comune a tutti gli uomini", tuttavia la proprietà egli la fonda sul fatto che a ciascun uomo appartiene sicuramente ed esclusivamente la propria persona. Quindi se con le sue forze materiali e personali l'uomo trasforma un prodotto qualunque della natura e vi aggiunge del lavoro suo, egli ne fa la sua proprietà. Ma Locke nello stabilire questa sua "legge naturale" della proprietà dice che essa ne dà anche il limite: nessuno si può appropriare più di quanto gli basta per vivere. Secondo Locke questa era la situazione nelle età antiche, e si deve impedire che la proprietà sia ripartita in modo che alcuni ne restino esclusi. A gran differenza di noi egli parte storicamente da una proprietà divisa individualmente e vuole arrivare ad una specie di lottizzazione egualitaria. Ma l'importante è che egli ammette che è il lavoro a dare valore ai prodotti della terra e alla terra stessa "per il 99 per cento".
Rendita e usura
Abbiamo dunque già superata la teoria della nutrice e dei poppanti. Locke risolve poi il problema dell'interesse. Il denaro di per sé lo giudica sterile ed improduttivo; ma, essendovi ineguale ripartizione della terra, il denaro e l'interesse sono il mezzo che permette a chi non ha terra e non potrebbe lavorare di farsene "prestare" da un altro, ricambiandolo con denaro che ricaverà da una parte dei prodotti. Questa ineguaglianza nel possesso dei mezzi di produzione fa passare nelle tasche di un terzo il guadagno che ricompenserebbe il lavoro di un dato individuo e Marx rileva quanto questo sia importante, dato che la concezione di Locke
"fu l'espressione classica delle idee giuridiche della società borghese in opposizione alla società feudale, e in quanto la sua filosofia servì inoltre di fondamento a tutte le teorie della successiva economia politica inglese".
Agli albori del capitalismo (per l'Inghilterra l'epoca è dal 1650 al 1750) si svolge una lotta tra il capitale-denaro e la proprietà fondiaria, e ciò sebbene molte volte lo stesso proprietario di terra esercitasse l'usura. Stabilita la teoria del parallelismo tra rendita media della terra e tasso medio dell'interesse sui prestiti di denaro, i signori della terra anziché fare miglioramenti produttivi volevano che lo Stato frenasse gli interessi usurari: se il tasso scende (come in quei secoli fortemente scese), la terra, che dà la stessa rendita, cresce nel suo valore patrimoniale. Ma quando al primitivo capitale degli strozzini fa seguito il capitale industriale e commerciale, questo non tarda ad allearsi strettamente con la proprietà fondiaria, e tutti lottano contro la forma usuraria, dice qui Marx per conto suo. Ma egli cita un altro passo notevole del Dudley North circa la spiegazione dell'interesse:
"Come il proprietario fondiario affitta la sua terra, così questi (coloro che posseggono capitale per il commercio) affittano il loro capitale [notammo altra volta che nel dialetto napoletano u' capitalista non è che il mutuante privato, lo strozzino, più elegantemente il contantista]: l'affitto di quest’ultimo si chiama interesse, ma non è altro che rendita del capitale, così come l'altra è rendita della terra (...). Essere un landlord [proprietario di terra in forma borghese] o uno stocklord [proprietario di denaro] è dunque la stessa cosa; il proprietario di terra ha questo unico vantaggio: che il suo fittavolo non può portarsi via la terra, mentre il fittavolo dell'altro può portarsi via il capitale [italice: piantare un chiodo, un buffo]; e perciò la terra deve fornire un profitto minore che non il capitale, il quale viene dato in prestito con un rischio maggiore".
L'altro grande filosofo Hume andrà in economia più avanti di Locke, perché oltre la rendita terriera e l'interesse del denaro considera il profitto, ma solo commerciale, avvicinandosi così ai mercantilisti che vedono la ricchezza nazionale sorgere dai commerci con l'estero. Hume però non trova nello scambio la creazione di nuovo valore: in lui sono già in pieno due teorie: quella del valore e quella della discesa del tasso, esplicitamente espresse:
"Nel mondo tutto si compra col lavoro". "L'interesse è il vero barometro dello Stato; se esso è basso è un segno quasi infallibile della prosperità di un popolo".
Con Steuart, che scrive nel 1805, l'analisi raggiunge il terzo termine: il profitto industriale. Egli giunge ad analizzare il prezzo di una merce stabilendo tre fattori: le materie prime; il tempo che in quel dato paese un operaio impiega nell'elaborarle; il valore dei mezzi di sussistenza, delle spese per i bisogni indispensabili di quell'operaio, e la spesa per comprare i suoi arnesi. Secondo lui il profitto dell’industria sorge se, calcolato così il prezzo del prodotto, l'industriale vende al di sopra di tale cifra: l'industria è attiva solo quando vi è una forte domanda.
Non siamo ancora certo alla formula marxista del valore della merce. Marx nota come Steuart faccia sorgere il profitto da un gioco concorrentistico, laddove questo non fa che provocare variazioni intorno ad un livello del valore della merce, che di per sé contiene più della spesa materie prime e della spesa salario. Quindi Marx si occupa propriamente dei fisiocratici maggiori.
I fasci di luce
E' veramente una posizione infelice confondere la trattazione marxista di un dato tema del passato, poniamo la tecnica produttiva di una razza preistorica, poniamo il pensiero di un certo scrittore di economia e di storia, con una ricerca culturale generica come quella che corrisponde alle domande di un professore universitario agli esami: parlatemi dunque della civiltà degli antichi Maya dell'America Centrale... o anche: esponete il pensiero sociale di Kant. Non si tratta mai per noi di riempire una pagina del quaderno o un ripiano della biblioteca, come fini a se stessi. Quando uno di questi paragrafi viene dettato da Marx, o viene richiamato con metodo marxista, ad ogni frase balza un vivo confronto coi problemi scottanti del tempo moderno, viene afferrata un'occasione di far dialetticamente intendere il segreto della società che ci circonda, di agitare nel modo più eversore il programma della società futura.
Chi per esempio non sia giunto all'altezza della teoria marxista del plusvalore troverà un veicolo possente nella esposizione che Marx fa di quella dei fisiocratici nel sesto capitolo: I caratteri generali del sistema dei fisiocratici.
Essi infatti per primi arrivano all’analisi del capitale coi suoi rapporti moderni: cosa strana, che non sveglia la distrazione del normale studentello, del compulsatore di mestiere: lo fanno svalutando l'industria e ponendo avanti in primo piano l'agricoltura: ogni fesso delle sezioni agrarie dei partiti stalinisti se ne verrebbe a concludere: sono dunque dei difensori dell'economia feudale contro la forma capitalista... Oh que nenni! (E' una forma di sottolineata negazione dei francesi, che vale il partenopeo "manco p'a capa!"; non si riferisce con iniziale maiuscola a quel tipo di cui scrisse Stato Operaio del luglio-agosto 1931, per la penna certo del sozio d'oggi Palmiro: "Chi accusa i comunisti di essere alleati del fascismo? Sono i ministri di polizia di Prussia, fucilatori di operai, è il signor Pietro, fascista della prima ora"). Quel capitolo sarebbe utile stamparlo in fascicoli e farne mangiare cento copie a ogni rinnegato.
Il centro dell'analisi marxista a proposito della dinamica del sistema salariale, chiunque sia il salariante, consiste nello stabilire la radicale differenza tra il salario, o prezzo della forza lavoro, e la parte di valore che la forza lavoro di cui si tratta ha introdotto nella merce prodotta.
Orbene il fisiocratico si ostina a dire che l'operaio di fabbrica, che ad esempio fonde un blocco motore con un quintale di ghisa greggia, ha aggiunto al valore del manufatto solo la paga ricevuta. Ed infatti se ne convince pesando il blocco e vedendo che non pesa più della ghisa; quasi sempre pesa un poco di meno, per lo "sfroso" (orribile parola tecnica) che avviene in ogni lavorazione.
Per riconoscere il plusvalore nell'industria, il fisiocratico vorrebbe che fosse violata la legge della conservazione della materia. Avrebbe aspettato i vanti di Eisenhower di pochi giorni fa sulla trasformazione di miliardi di kilowatt-ore e di dollari in pochi etti di idrogeno pesante. Ma purché si tratti di produzione agricola, la scuola fisiocratica descrive per la prima la stregonesca fabbricazione del plusvalore.
"Il loro [dei fisiocratici] modo di esporre è necessariamente determinato dalla loro concezione generale della natura del valore, il quale, secondo il loro pensiero, non è [ed ecco una formula nostra di ventiquattro carati che il comune lettore e studioso sfiora senza sbarrare gli occhi!] un determinato modo sociale di esistenza dell'attività umana (lavoro), ma consta di materia, di terra, di natura e delle diverse modificazioni di questa materia".
Noi - spiegammo tante volte - noi materialisti storici non valutiamo una merce secondo la materia che contiene - a seguito di analisi chimica, meccanica e nucleare! - ma secondo i rapporti sociali che corrono tra gli uomini che l'hanno prodotta e, meglio ancora, che siano chiamati a riprodurla. Ma l'economista ufficiale ancora oggi prende la merce in mano, la offre magari a destra e a sinistra e sui giornali commerciali, poi la giudica entro il suo poco di materia e ne costruisce il prezzo su banali formulette di appetibilità e rarità. E il testo prosegue:
"La differenza fra il valore della capacità lavorativa e la sua valorizzazione - cioè il plusvalore che l'acquisto della capacità lavorativa procura a chi la impiega - appare nel modo più tangibile e incontestabile, fra tutte le branche della produzione, nell'agricoltura, nella produzione primaria. La somma dei mezzi di sussistenza che l'operaio consuma annualmente, o la massa di materia che consuma, è minore della somma dei mezzi di sussistenza che egli produce".
Poiché nell'industria questo non è evidente, non si può arrivare a scorgere tale differenza senza fare "l'analisi generale del valore" e scoprire la sua natura. I fisiocratici la videro nell'agricoltura, la negarono per l'industria: chiamarono lavoro produttivo il lavoro agrario, classe produttiva quella degli operai agricoli, classe sterile quella dei lavoratori di fabbrica.
Sussistenza e procreazione
Fermiamoci un momento al primo e più basso termine della differenza: quel valore che all'operaio viene attribuito per la sua prestazione di forza di lavoro, il prezzo dunque di questa, il salario. Per questo "il minimo del salario costituisce giustamente il pernio della dottrina dei fisiocratici".
Evitiamo - con una digressione nella digressione - le confusioni solite. Per provare l'esistenza del plusvalore ed anche il suo crescere nella massa e nel saggio, non occorre che il salario resti a quel "minimo" a cui non lo lega nessuna "bronzea legge" come raccontava Lassalle. Il salario sta tra quel minimo ed un massimo che sarebbe tutto il valore aggiunto al prodotto finito. Ben può dunque superare il minimo; non può solo scendere più in basso, in quanto il sistema sociale esaminato non potrebbe ulteriormente continuare per esaurimento della forza di lavoro sociale disponibile.
Il minimo valore del salario è dunque quello che assicura la conservazione della forza lavoro dell'operaio. Ma ciò comprende la sua "riproduzione" non solo alimentare ma anche sessuale, e qui con alcune citazioni diamo conforto alle nostre trattazioni su razza ed economia, e riduzione del fatto sessuale al fatto economico come necessaria parte della "materiale base" di ogni società. Quel minimo valore
"è uguale al tempo di lavoro necessario per produrre i mezzi di sussistenza indispensabili alla riproduzione della capacità lavorativa, ossia è uguale al prezzo dei mezzi di sussistenza necessari all'esistenza dell'operaio in quanto tale".
E nello stesso capitolo, più oltre:
"Il grado di sviluppo della produttività del lavoro" deve essere tale almeno da consentire che "il tempo di lavoro di un uomo" non "basti unicamente a mantenere lui stesso in vita, a produrre e riprodurre i suoi propri mezzi di sussistenza"; la forza di lavoro deve poter "riprodurre più del suo proprio valore, produrre in misura superiore alle esigenze del suo processo vitale".
Poiché tutto è considerato alla scala sociale, si tratta del processo vitale non del lavoratore isolato, ma della classe lavoratrice. Un autore dei primi studiati da Marx disse: quanto occorre al mantenimento del lavoratore ed alla procreazione di altri lavoratori? Adamo Smith, citato molto più oltre, dirà, assai bene:
"Un uomo deve necessariamente vivere del proprio lavoro, e il suo salario deve essere almeno sufficiente alla sua sussistenza; nella maggior parte dei casi deve anche essere un po' superiore, altrimenti egli non avrebbe la possibilità di allevare una famiglia, e allora la stirpe di questi operai non potrebbe durare oltre la prima generazione"
Smith naturalmente si allarmava del fatto che sarebbe in tal modo scomparsa nel generale compianto anche la classe dei non lavoratori. Dunque la "reazionaria" ostilità dei fisiocratici all'industria moderna non toglie che essi fossero all'avanguardia nel decifrare il processo produttivo agricolo, e avessero per primi dati i tre giusti termini del valore: capitale costante, capitale salari, sopravalore: tutti incorporati nel valore del prodotto.
Distribuzione e produzione
Il merito dei fisiocratici (di cui nel seguito daremo il "collocamento" storico esatto nel trapasso alla rivoluzione borghese, stabilito magistralmente nel testo di Marx) è di avere finalmente fissata l'origine dell'accumulazione di valore nel campo della produzione, superando la precedente scuola mercantilista, che vedeva l'arricchimento nazionale solo nei commerci:
"Nel sistema mercantilistico il plusvalore è soltanto relativo, ciò che è guadagnato dall'uno è perduto dall'altro. Profitto mediante l'alienazione, ossia oscillazione della ricchezza fra le varie parti interessate. All'interno di un paese, se si considera il capitale complessivo, non si verifica in effetti nessuna creazione di plusvalore [ossia la nazione consuma nell'anno, poniamo, quanto nell'anno ha prodotto]. Essa può aver luogo solo nel rapporto di una nazione con le altre nazioni (...). In contrasto con queste tesi - poiché in realtà il sistema mercantilistico nega la creazione di plusvalore assoluto la fisiocrazia vuole spiegare il plusvalore assoluto: il prodotto netto. E poiché essa rimane saldamente ancorata al valore d'uso, l'agricoltura (le appare) come l'unica creatrice di esso".
Nella dottrina del sistema monetario e del sistema mercantile, sola fonte di arricchimento relativo è il denaro che il commerciante impiega, il capitale commerciale, che si investe in merci circolanti e ne ritrae un ricavo maggiorato. Una partenogenesi del denaro che figlia se stesso. Nella assai superiore dottrina fisiocratica abbiamo la combinazione della terra e del denaro: si riconosce, cosa fondamentale, che le remunerazioni dei due fattori sorgono non negli scambi ma nella produzione (prima apparizione della legge dell'equivalenza in qualunque scambio) e sorgono dal lavoro umano, ma dallo speciale lavoro che opera nel seno, per così dire, della natura, che produce frutti della terra. Questo lavoro in quanto reso merce e acquistato con denaro, e non più per personale soggezione del contadino, quindi in forma ormai borghese e non più feudale, genera un sopralavoro che si trasforma tutto in rendita fondiaria.
Dalla rendita dei proprietari fondiari sono distaccati dei compensi che danno l'interesse ai prestatori di denaro, e una specie di stipendio ai capi d'industria, che non è profitto, in quanto l'industria manifatturiera, per i fisiocratici, non genera plusvalori, ma compensa solo il denaro investito cambiando ai prodotti solo l'esterna forma.
Tuttavia nel campo della coltivazione della terra la formula capitalista ha già una piena applicazione, si è svelata una speciale merce, la forza lavoro, che (sola) ha questa magica capacità: allorché chi la ha comprata la utilizza, la impiega, salta fuori un valore d'uso assai superiore al prezzo pagato, al suo valore di scambio, al salario.
Mentre dunque i pacifici fisiocratici credono di mettere su questo sereno ménage della terra e del denaro, hanno scatenato senza vederlo il diabolico terzo elemento, il capitale industriale famelico di sopralavoro, che imporrà il suo potere adultero e assorbirà enormi differenze, tratte al sopralavoro di masse prima sconosciute di salariati, lasciandone semplici lecchi per la rendita fondiaria e per l'interesse dei risparmiatori di denaro.
"Per il fatto che il lavoro agricolo viene concepito come l'unico lavoro produttivo, quella forma di plusvalore che distingue il lavoro agricolo dal lavoro industriale, la rendita fondiaria, viene concepita come l'unica forma del plusvalore.
"Il vero e proprio profitto del capitale [attenzione: dalla critica si passa all'enunciazione nostra!], di cui la stessa rendita fondiaria non è che una diramazione, non esiste dunque per i fisiocratici. Il profitto appare ad essi solo come una specie di salario più elevato pagato dai proprietari fondiari, il quale viene consumato dai capitalisti come reddito (dunque entra nei costi della loro produzione al pari del minimo del salario degli operai comuni) poiché esso entra nei costi di consumo a cui va incontro il capitalista, l’industriale, mentre produce il prodotto, mentre trasforma la materia prima in nuovo prodotto".
Tale prodotto compensa esattamente le sue varie spese di produzione, dunque non vi è nell'industria accumulo di nuovi valori, nulla si apporta al totale della "ricchezza nazionale" oltre il montante della rendita terriera.
"Il plusvalore nella forma di interesse del denaro - altra diramazione del profitto - viene quindi considerato da una parte dei fisiocratici, ad esempio da Mirabeau padre, come usura contraria alla natura. Il Turgot, al contrario, adduce a sua giustificazione il fatto che il capitalista monetario potrebbe comprare terra, dunque rendita fondiaria Essendo il lavoro agricolo l'unico lavoro produttivo, il profitto industriale e l'interesse del denaro non sono che differenti rubriche in cui la rendita fondiaria si ripartisce e passa, in determinate porzioni, dalle mani dei proprietari fondiari in quelle di altre classi".
Siamo pervenuti ad una netta distinzione. Agli albori della produzione capitalistica viene in evidenza che il movimento sociale consiste in produzione di sopravalore. Per i fisiocratici questo viene tutto dalla rendita fondiaria, e se ne staccano date quote per gli industriali e i banchieri. A partire da Adamo Smith troveremo "tutto l'opposto":
"Gli economisti successivi concepiscono giustamente [e quindi siamo all'enunciazione della corrispondente tesi marxista] il profitto industriale come la forma in cui il capitale si appropria originariamente del plusvalore, quindi come la forma generale originaria del plusvalore (...) Rappresentano l'interesse e la rendita fondiaria come semplici diramazioni del profitto industriale [diremmo per chiarezza profitto di impresa, in quanto anche l'agricoltura è qui impresa], distribuito da parte del capitalista industriale alle differenti classi comproprietarie del plusvalore".
Per stabilire dunque i termini della questione agraria va affermato che nel tempo capitalista la rendita della terra è una parte prelevata sul sopralavoro sociale come compenso del monopolio della terra da parte dei suoi proprietari.
All'inizio del ciclo capitalista i proprietari fondiari pretendono porsi alla testa della società, alla sua fine ne possono venire, dopo essere stati posti in sottordine, anche eliminati, senza che la vita del modo capitalista e salariale di produzione sia ancora terminata.

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