CHIESA E FEDE, INDIVIDUO E RAGIONE, CLASSE E TEORIA
Amadeo bordiga
Sul filo del tempo
Da cattedre diverse e lontane due enunciazioni - fatte innegabilmente per la medesima esigenza di innestare l'azione politica di guida dei popoli con l'impiego del materiale dottrinario - si prestano ad essere riavvicinate.
Le riviste russe di partito hanno preso a pubblicare scritti con cui Stalin risponde - non interessa molto che si tratti di redazioni personali o del lavoro di un apposito collegio o commissione, e nemmeno interessa per la enciclica di Pacelli di cui diremo subito dopo - a quesiti di compagni di partito.
Uno di questi testi si riferisce a questioni assolutamente centrali, come il ciclo storico dello Stato, e come la vittoria del socialismo in uno o in più paesi; altri a questioni interessanti ma meno generali, come la lingua, i dialetti, la fonetica. Tutte hanno di comune, trattandosi di chiarire le idee a militanti cui era parso di vedere contraddizione tra diversi testi di partito, la recisa tesi che la scienza e la dottrina marxista elaborano soluzioni continuamente mutevoli nelle diverse situazioni storiche, poiché il marxismo, come è detto più volte in quei testi, «non conosce conclusioni e formule immutabili, obbligatorie per tutte le epoche, per tutti i periodi; è nemico di ogni dogmatismo, di ogni talmudismo».
L'altro testo cui alludiamo è più recente, è l'enciclica Humani generis del Pontefice romano, che procede ad una vera rigorosa messa a punto teoretica nei confronti di varie scuole moderne e contemporanee, e, pur mostrando che la ortodossia cattolica non esclude, nel suo preciso senso, l'impiego del raziocinio e lo svolgersi della scientifica ricerca, perviene ad una riaffermata immutabilità delle verità fondamentali e dei testi sacri, che per la sua intransigenza ha sorpreso ed imbarazzato ambienti cattolici più proclivi a concessioni e compromessi con questo mondo odierno di agnostici e di dondolanti.
«Nessuna verità che la mente umana con sincera ricerca ha potuto scoprire può essere in contrasto con la verità già acquisita, perché Dio, somma Verità, ha creato e regge l'intelletto umano non affinché, alle verità rettamente acquisite, ogni giorno esso ne contrapponga di nuove (rettifichiamo un poco il testo delle agenzie che hanno mal tradotto l'originale latino, sebbene questo non sia in nostro possesso), ma affinché, rimossi gli errori che eventualmente si fossero insinuati aggiunga verità, nel medesimo ordine e con la medesima organicità con cui vediamo costituita la natura stessa delle cose, da cui la verità si attinge».
Natura umanità ed ideologia erano tutte unitariamente date in principium, e i testi rivelati non sono suscettibili di aggiornamenti e rettifiche; il dogma è obbligatorio come formulato giusta il rito ufficiale; tanto che in questa fase di generali esitazioni, dubbi, conversioni ed abiure la Chiesa non esita a promulgarne ancora uno, ossia l'assunzione in cielo del corpo di Maria, su cui se non erriamo era fin qui permessa una certa opinabilità. Roma ha parlato così.
Nell'altro caso invece, e giusta il verbo di Mosca, i testi sono rettificabili senza limite alcuno man mano che si viene a disporre di nuovi apporti della esperienza, della storia e della scienza, e al vertice della organizzazione si può enunciare ad ogni passo una nuova «verità», diversa da quella a cui la organizzazione era prima tenuta a credere. Era tenuta, proprio così, poiché non si tratta di lasciare ad ogni adepto la facoltà di una propria dottrina sullo Stato, il Socialismo, o la Linguistica, e la facoltà di mutarla ogni tanto. I dissenzienti con la teoria, una volta rettificata, sono infatti tenuti a lasciare il partito. Penseranno diversamente, ma fuori dalle file. Si può lasciare un partito, si può esserne messi fuori, ed allora la consegna finisce. Anche del resto la Chiesa si può lasciare. Non vorremo parlare di auto da fé, occupandoci di questi testi pieni di pacata autorità.
Nessuna delle due posizioni è quella che conviene al movimento proletario e marxista.
Ieri
La posizione dei marxisti dinanzi al problema religioso è stata troppo confusa con quella propria una volta della borghesia nascente e rivoluzionaria, e considerata una semplice sottoclasse di un generale razionalismo e ateismo, con relativi sviluppi anticlericali, sotto il cui ombrellone borghesi «progressivi» e proletari socialisti stavano fianco a fianco.
Secondo gli scherzi che fa il metodo «progressivo» (cento volte più opposto al marxismo del peggiore dei «talmudismi») questo significava attendere il felice giorno in cui la laica ed intelligente borghesia si sarebbe disfatta di divinità, chiese e preti; e «tra atei» ce la saremmo vista nella questioncella secondaria; società capitalistica o socialistica?
Uno dei primi periodici italiani, la «Plebe di Bignami», aveva per sottotitolo: giornale repubblicano, razionalista, socialista.
Sebbene oggi tutto si ammetta secondo una giusta impostazione la parola socialista doveva bastare a far capire che il giornale non poteva essere monarchico, o cattolico.
Non mancano certo nei testi del marxismo - sebbene nell'Europa della seconda metà del secolo scorso la causa della chiesa e delle chiese cristiane si considerasse dai più giudicata, e perduta - le inquadrature del problema storico del cristianesimo e della religione in generale.
Una, magnifica, è nel Ludovico Feuerbach di Engels, che è del 1886; e meriterebbe essere tutta riportata e messa in rapporto con le non meno classiche 11 tesine giovanili di Marx, e con altri riferimenti degli scritti di ambo gli autori in materia filosofica e religiosa.
Naturalmente una tale impostazione denega in pieno le verità eterne su cui il cristianesimo è fondato; e del resto le «verità eterne» possono essere espulse dalla scienza, oggi, in modo più radicale perfino di quanto faceva Engels nell'Antidühring, dividendo le verità in tre gruppi: scienze fisiche, biologiche, sociali, mostrando che le dottrine nel terzo campo sono di continuo mutevoli con le epoche storiche, e concedendo solo per il primo campo che vi siano verità indiscutibili, come quella che due e due fanno quattro, scherzosamente citata. Ma un posteriore critico della scienza, Henry Poincaré, ha potuto mostrare che anche in questa verità si nasconde una convenzione, ossia un arbitrio, alla fine. Già Leibnitz aveva cercato di dimostrare il teorema 2+2 = 4. Ma non era che una «verificazione». Tutte le nozioni di aritmetica elementare non sono dimostrabili che ammettendo per buono il «principio di ricorrenza», cioè che se si possono fare date operazioni su n, si potranno fare su n+1. Occorre inoltre avere definito questo famoso uno in modo che sia proprio quello al principio degli aggettivi numerali, e quando lo affibbio al numero n con quel segno più. Quando poi affibbio tutti quegli uni ad enti concreti, per dati sviluppi e calcoli, devo ritenere che siano tutti identici nelle condizioni reali di ambiente... forse è più facile definire la Divinità che l'unità, di cui ci serviamo mille e mille volte al giorno; ed è in fondo Pacelli che cammina sul sicuro; sul comodo.
Basta così; si trattava di concludere che non vi sono verità definitive, e neppure nelle «scienze esatte», che mettono soggezione agli incolti e ai colti.
Nella lunga serie di successive modifiche alle enunciazioni delle «verità» che l'una all'altra si surrogano, sta la religione, che dunque è uno dei modi della conoscenza e della rappresentazione umana, tappa iniziale ma non perciò meno importante e necessaria. Quindi al borghese metafisico contrapporsi pomposo di scienza e religione noi sostituiamo la considerazione di esse come tappe di uno stesso processo conoscitivo (Vedere Prometeo N. 12, Cristianesimo e Marxismo, di L. Tarsia).
Veniamo dunque ad uno scorcio dello scorcio di Engels.
«La religione è sorta sin dai tempi originari, di vita vissuta nelle selve, per insufficienti, primitive rappresentazioni degli uomini sulla loro stessa natura e su quella esterna che li circondava». «Che le condizioni materiali dell'esistenza degli uomini, nelle cui teste si svolge questo processo mentale, determinano, in conclusione, il corso di detto processo, rimane necessariamente per essi inconsapevole, diversamente avrebbe fine ogni ideologia».
Si mediti su questa formula, che suggerisce di usare nel campo di partito il termine di teoria a preferenza di ideologia. Non solo i sistemi di idee non hanno origine eterna, ma come sistemi «autonomi» avranno fine appena sarà possibile operare col dato che essi nascono nella «testa» per effetto di processi materiali esterni.
I popoli si cominciano ad organizzare, si scindono in gruppi nazionali; essi elaborano «dei nazionali» e territoriali.
L'impero mondiale romano porta la fine di queste antiche nazionalità. Roma ospita dapprima tutti questi dei locali, ma sorge l'esigenza di un dio mondiale. Ma
«la religione nuova mondiale, il Cristianesimo, era già sorta da una mistura di teologia orientale, specie giudaica, universalizzata, e di filosofia greca, specialmente stoica, volgarizzata».
Dopo 250 anni diviene religione dello Stato. Naturalmente ciò avviene dopo una lotta religiosa, derivata dalla lotta sociale contro lo schiavismo e l'economia schiavista.
Nel Medio Evo la religione cristiana si foggia come forma rispondente al feudalesimo e alla sua gerarchia.
La borghesia inizia il suo moto ascensionale, e si sviluppa la eresia protestante in contrapposizione al cattolicesimo feudale. In Germania Lutero esprime la lotta della borghesia e dei contadini contro la nobiltà; battuti i secondi, sottomessa la prima, la Germania cade in tre secoli di assenza dalla grande storia. Ma con Calvino la riforma vince in Svizzera, Olanda, Inghilterra, e con la prima rivoluzione borghese.
Albigesi e minoranza calvinista sono in Francia dispersi. «Ma a che giova questo? Già allora era al lavoro il libero pensatore Pietro Bayle, e nel 1694 nacque Voltaire». Invece di eretici, liberi pensatori, increduli.
«Con ciò il Cristianesimo era entrato nel suo ultimo stadio. Esso era diventato incapace a servire ancora, come travestimento ideologico dei suoi sforzi, a qualsiasi classe avanzante; divenne sempre di più possesso esclusivo delle classi dominanti, e queste lo adoperano come semplice mezzo di governo, con cui si contengono in certi confini le classi inferiori».
«Vediamo dunque: la religione, una volta formata, ha sempre un contenuto tradizionale, e d'altra parte in tutti i campi ideologici la tradizione è una grande forza conservatrice. Ma i mutamenti, che si hanno in questa materia (eresia, riforma religiosa, scisma della Chiesa, razionalismo borghese) derivano da rapporti di classe, quindi da rapporti economici degli uomini che realizzano questi mutamenti».
Ciò è sufficiente qui, dice Engels, rinviando ad una positiva dimostrazione con il materiale storico. Ed è sufficiente a mostrare ancora una volta la inconciliabilità tra marxismo e religione, marxismo ed idea cristiana... Come è sufficiente a giustificare che il Papa, come propone ai cattolici tedeschi una diga contro il marxismo, così si tiene solidamente sulle fortificazioni dottrinarie tradizionali, e, pure essendo oramai storicamente socialmente e politicamente alleato alla dominante borghesia mondiale, fa salve le obiezioni a tutte le eresie. Giustamente qualche commentatore ha paragonato la condanna del romanticismo, forma mentale della borghesia eroica, a quella dell'esistenzialismo, forma mentale della borghesia degenerante e decadente.
Il classico scritto che abbiamo citato conclude con il raffronto tra la critica razionalista e materialista francese, e la filosofia critica tedesca. Ingenua e metafisica la prima, ma tremendamente eversiva di idee e regimi medioevali. Più completa teoricamente la seconda, ma caduta nel conformismo per lo spurio e trepidante sviluppo della classe borghese in Germania. Il borghese depone con orrore l'arma tagliente della critica teoretica; non potrà impugnarla che la classe lavoratrice. Qui fu scritto che
«il movimento operaio è l'erede della filosofia classica tedesca».
La teoria religiosa cristiana e medioevale poggia la verità sull'autorità e ne detta i termini agli uomini opinanti con formule rigorose.
La critica borghese, per il bisogno economico sociale politico di spezzare i limiti di quella autorità, negò quelle formule, quei dogmi.
In Francia chiamò ogni uomo individuo o cittadino a pensare con la sua testa, ma questo singolo «liberato» immobilizzò e fossilizzò nella presunta facoltà e diritto di vedere e ritrovare in ogni tempo luogo e circostanza le vie «naturali» di una giustizia e di una civiltà astratta. Non per niente della Ragione e della Libertà fece una dea.
In Germania la critica borghese vide ed espose meglio il movimento storico ed il succedersi delle condizioni sociali degli uomini in un divenire dialettico. Ma commise l'altro errore di poggiare tutta la costruzione sul lato idealistico, vide il muoversi storico come effetto e non causa del pensiero, e si prestò, nel più perfetto sistema di Hegel, ad essere utilizzata per l'apologetica dello Stato e quindi per la conservazione della autorità costituita.
Fondandosi sugli elementi vitali del materialismo francese e della dialettica tedesca, cioè sulle forze rivoluzionarie della critica borghese iniziale, il sistema teorico proletario nega entrambe le costruzioni che essa pose al posto della minata autorità per diritto divino: cioè tanto la astrazione giuridica del cittadino liberopensante uguale ad un altro, quanto la intangibilità dello Stato come apparato imparziale sovrapposto alla società reale.
L'individualismo e la statolatria preoccupano tuttavia in sede teologica la cattedra romana, sebbene individualisti e statolatri borghesi le abbiano dato riconoscimento appoggio e alleanza.
Giustamente la preoccupano ben più nella concreta sede politica le posizioni marxiste, che non solo si sono liberate dalla credenza nei versetti dell'Antico e del Nuovo Testamento, ma soprattutto muovono alla eversione materiale dei sistemi di classe che il capitalismo fonda sia sulla democrazia liberale che sul totalitarismo statale. Là l'esorcismo, qui la materialità della diga.
Oggi
Al posto della dommatica religiosa, del giusnaturalismo gallico, e dell'eticismo teutonico, il movimento proletario internazionale, sulle rovine di tanti sistemi pretendenti alla eterna validità, pone la scienza della società umana e della storia svolta con metodo obiettivo e dialettico, ossia scevro da tutte le insidie dei preconcetti tradizionalisti, in lotta contro tutte le incrostazioni del pregiudizio nella testa della enorme maggioranza degli uomini, così come per le scienze della natura.
Tale studio, come per la natura cosmica o terrestre, si porta sul passato e, sui dati che se ne posseggono, sul presente, e tende nei limiti della possibilità a trovare leggi di sviluppo applicabili anche al futuro.
Ô naturale e comprensibile a tutti che il materialismo marxista appena nato non trovò e registrò di colpo tutte le leggi scientifiche sociali né le codificò, nemmeno nelle opere monumentali come il Capitale, in testi che per i seguaci e i militanti del movimento si pongano come definitivi. La ricerca e la elaborazione continuò e continua, non potette non dar luogo a divergenze e contrasti, che, se non si chiamarono concili scismi eresie, si chiamarono congressi revisioni scissioni politiche.
Ma ciò non toglie che il movimento nel suo insieme non può vivere e vincere senza un filone dorsale della dottrina, grezzo se si vuole in qualche parte, che attraverso la lotta deve essere portato intatto nel suo tronco vitale fino alla vittoria.
Appunto la dottrina materialista della storia ha mostrato che in tutte le lotte di classe avvenne così: un bagaglio ideologico, che oggi sappiamo essere stato pieno di errori e di false tesi, a spezzare i limiti delle forme tradizionali e fu gettato, con tutta la sua vitalità la sua forza e le sue stesse primitive deformità, a traverso della barricata, al di sopra di uno dei terremoti della storia.
Il grado di consapevolezza fu nelle successive lotte diverso; più scientifico del «Dio lo vuole!» dei Crociati può essere stato il sanculottesco «les aristocrates à la lanterne!». Molto maggiore è la chiarezza teorica nel movimento proletario moderno che possiede la nuova chiave del determinismo storico: ma non per tutti i lottatori, bensì per la minoranza formata in partito storico.
Se alla classe e alla massa vien meno questa inquadratura storicamente stabile che è il partito, la massa è battuta; ma se il partito perde e smarrisce i suoi principii base, esso degenera e muore, o diviene arma nelle mani della classe nemica.
In armonia a tale concetto ha detto Engels che il Cristianesimo oggi è incapace a servire ancora di veste ideologica ad una classe rivoluzionaria. Duemila anni fa esso servì benissimo agli schiavi in rivolta e determinò uno sviluppo storico futuro della società senza il quale oggi non avremmo né la possibilità della lotta né quella della dottrina nostre proprie. Ma il dogma dell'Assunzione di Maria, ad esempio, ha la stessa argomentazione pro e contro per allora e per oggi.
Ora non può non essere un decisivo apporto della analisi storica il fatto che questo movimento e questa organizzazione, la Chiesa di Roma, siano dopo venti secoli ancora potentemente in piedi, ed abbiano saputo tenere la linea teoretica iniziale con incrollabile risoluzione tra mille tempeste.
Le rettifiche di tiro che lo stalinismo apporta alla dottrina marxista, sono, per questa semplice ragione storica, prima che per l'esame del contenuto, la prova che quel movimento ha deviato dalle origini, nel senso che la sua organizzazione non è più a disposizione della classe operaia mondiale.
Non si tratta qui di vietare che una analisi economica con dati recenti possa dare diversa presentazione ad un problema, oggetto di uno dei capitoli di Marx, poniamo quello sulla produttività della terra che la produzione capitalistica tenderebbe ad esaurire per il fatto della lavorazione in massa, laddove oggi in California una coltura supermeccanizzata aumenta ogni anno la resa in prodotti meravigliosi di quello che era un secolo fa un deserto vero e proprio.
Qui siamo in presenza non dell'abiura al dogma dell'Assunzione di Maria, ma a quello della divinità del Cristo. Qui è tutto l'edificio che crolla.
Qui gli apporti della storia più recente sono adoperati al rovescio del loro significato scientifico, e le rettifiche non nascono da aggiornamento teorico, ma da volgare ragione di Stato. L'organizzazione non è più lo strumento di espressione della teoria di classe, ma è divenuta lo strumento, traverso la sua inerzia di conservazione, di altre forze sociali dominanti nel mondo.
Che cosa è la «teoria dell'ineguale sviluppo»? Quando, in base ad, essa Marx ed Engels hanno stabilito che la rivoluzione dovesse avvenire simultaneamente in tutti i paesi? E quando ha Lenin invece, sulla base delle diverse caratteristiche del capitalismo monopolistico rispetto a quello liberistico, scoperto che la rivoluzione, e l'attuazione del socialismo che la segue, possono avvenire in un solo paese, che se ne starà in civile competizione o emulazione con i paesi rimasti capitalisti?
Questi sono puri falsi storici, e non conquiste di nuove verità meglio costruite. Marx nella rivoluzione tedesca 1848 e Lenin nella russa 1917 hanno avuta la stessa prospettiva: in una imminente rivoluzione borghese in paese arretrato il proletariato e il suo partito devono combattere, è certo, ma devono spingere la rivoluzione fino a divenire proletaria. Malgrado l'ineguale sviluppo e l'arretratezza di quel paese, bisogna lottare perché quelli che nella rivoluzione borghese lo precedettero, lo seguano nella rivoluzione proletaria e diano così la sola possibilità di costruzione del socialismo. Marx e Lenin attesero invano, ma mai mutarono la prospettiva. Nessuna riga lo prova, mille pagine lo smentiscono.
Lenin non ha mai parlato di due capitalismi: liberistico e imperialistico, ma di due fasi del capitalismo, e meglio dell'avvento della fase che viene a confermare la previsione marxista sullo svolgersi del capitalismo.
Il capitalismo liberista concorrentista e liberale allo stato di regime nel marxismo non esiste, è una categoria della economia borghese. La scuola marxista le ha contrapposto la nozione centrale che il capitalismo è un monopolio per sua natura. Concorrentismo significa equilibrio economico, monopolio economico sociale e politico significa antagonismo. Dalla prima riga, il marxismo è la scoperta che l'economia del mondo borghese non è equilibrio (e nemmeno emulazione e competizione pacifica!!), ma conflitto e antagonismo, risolubile solo da una lotta finale, unitaria, mondiale nel senso storico, tra due opposti blocchi di classe.
Le constatazioni storiche leniniste furono il grido di vittoria per la confermata previsione della dottrina, risultato inestimabile anche dopo una battaglia che si fosse sanguinosamente perduta.
Le rettifiche staliniane vanno in controsenso alla storia e alla scienza. Se nel preteso capitalismo premonopolistico e libero era giusto che Marx ed Engels dicessero che malgrado l'ineguale sviluppo la rivoluzione doveva essere simultanea internazionalmente, il mutamento apportato dall'imperialismo e dal monopolio nel mondo quale effetto può avere su questa legge dello sviluppo? Ô proprio grazie alle forze del monopolismo dell'imperialismo e del «monostatismo» cui tende il Capitale, che sarà possibile accelerare ancora il ritmo con cui il modo capitalistico di produzione soggioga tutta la terra negli angoli più remoti. Se la legge dell'ineguale sviluppo significa qualche cosa, essa deve farci concludere che, se Marx ed Engels al loro tempo videro la rivoluzione proletaria come rivoluzione non nazionale, oggi bisogna dare decupla forza a questa tesi gloriosa, e gridare che i nuovi fatti hanno più che mai giustificato il grido: il socialismo sarà supernazionale o non sarà.
Il dire che una simile tesi era giusta per Marx ed Engels conduce alla più antistorica delle posizioni; ed è più rispettabile la conclusione che dicesse: dato quanto di nuovo è avvenuto, tutto il sistema di Marx ed Engels va rigettato.
Il capitalismo ha percorso la sua fase di apparenza liberale e la rivoluzione proletaria, se ci fosse stata, sarebbe stata internazionale. Ma essa non ha vinto, ed il capitalismo ha avuto il tempo di passare nella fase monopolista. Ed allora aspettiamoci una rivoluzione e un socialismo nazionale. Quale prospettiva è mai questa, che cosa vale nella scienza e nella lotta di partito? Dobbiamo attendere che il capitalismo ritorni gentilmente liberista, perché solo allora sarà giusto che il compagno Belkin pensi ad una rivoluzione internazionalista? O il capitalismo diverrà un grande monopolio, lui pure nazionale, e la patria del socialismo ne starà in contemplazione emulativa? L'emulazione è tra i simili, non tra gli antagonistici. Lo avete già emulato, siete un'altra patria del capitalismo imperialista. Tu dixisti.
L'autorità di una cattedra che ripete impassibile le sue verità cristalizzate nei secoli è pesante: ben si lanciarono contro di essa due grandi rivoluzioni, rompendo già la servitù feudale, non ancora quella borghese.
Contro quella autorità secolare stanno i rivoluzionari proletari, e negano gli argomenti che essa chiede a fede, a ragione, a scienza, come argomenti di servitù.
Ma l'autorità che non solo vuole il conformismo, bensì ad ogni passo straccia e muta essa stessa i suoi testi e le sue norme, cui tuttavia la tremenda forza meccanica non basta a trovare il coraggio di proclamare l'eresia, non ha diritto di parlare né di fede, né di ragione, né di scienza: la servitù ad essa è la peggiore delle servitù.
SOURCE: «BATTAGLIA COMUNISTA», N.17, 6-25 SETTEMBRE 1950
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